Lloret de Mar. Interno di una discoteca stracolma di gente. Succede qualcosa. Si crea un piccolo spazio, un lembo di terra in cui un vero e proprio combattimento da bassifondi urbani sta avendo luogo. Tre ragazzi ceceni, ne stanno pestando un altro, italiano, si chiama Niccolò Ciatti e sta per essere letteralmente giustiziato da un violento calcio alla testa, prima del quale ha subito continui pestaggi da parte dei tre giovani. Due strisce di presenti osservano il tutto, qualcuno addirittura filma la scena, boati di paura e disapprovazione. Ma nient’altro. Nessuno interviene. Niccolò muore qualche ora dopo in ospedale. Ebbene, Niccolò lo ha ucciso quella platea raccoltasi lì intorno, senza il coraggio o chissà, la volontà, di intervenire. L’indifferenza di così tanta gente, la maggior parte sua coetanea, scuote davvero l’anima, affliggendola e facendosi, nella sua assurdità, immagine simbolo di un momento storico ben preciso: il nostro.
Quanto siamo effettivamente quel centinaio di assassini che stavano lì a guardare?
Quanto apparteniamo a questa generazione che si indigna e condanna, che indossa i colori delle bandiere dei paesi colpiti dalle stragi, che si proclama #Charlie solo per raggranellare evidenza sui social?
Quanto ci sentiamo la generazione che fa tutto questo da dietro le tastiere e che poi, nel silenzio degli onesti, ha ucciso?
Forse non avremo il coraggio di rispondere, abbiamo tuttavia il dovere morale di comprendere chi o cosa stiamo rischiando di diventare.
Fabio Privitera